domenica 13 novembre 2016

La sensibilità nelle mani di Dio

Poiché sei tu che hai formato le mie reni, che mi hai intessuto nel seno di mia madre, io ti celebrerò perché sono stato fatto in modo meraviglioso, stupendo, meravigliose sono le tue opere e l’anima mia lo sa molto bene...” Salmo (139:13- 14)





Ognuno di noi è stato creato in modo diverso, con una propria identità e una propria individualità che lo fa essere speciale ed unico, agli occhi di Dio.


Ma purtroppo, dal punto di vista umano non siamo altrettanto speciali gli uni per gli altri, al contrario, quando incontriamo una persona che non corrisponde alle nostre caratteristiche, al nostro modo di vedere e di pensare rimaniamo confusi, disorientati portati di conseguenza, ad emarginare e ad allontanare la persona “strana” particolare, con un modo così diverso da noi di vedere, di pensare e di sentire le cose, senza renderci conto che il nostro comportamento crea sofferenza e disagio in quella persona.


Come credenti, avendo una nuova natura in Cristo (2 Corinzi 5: 17) dovremmo avere anche una sensibilità rinnovata, più forte e più matura, nel capire e nel valutare le necessità degli altri, invece il più delle volte non solo non capiamo ma non rispettiamo neppure minimamente, l’individualità e la sensibilità delle persone che ci stanno accanto.


Spesso vediamo la sofferenza e il disagio “degli altri” con troppa superficialità, minimizzando e semplificando tutto ciò che non ci riguarda personalmente, e la totale mancanza di delicatezza che spesso manifestiamo gli uni con gli altri è qualcosa, che davvero a volte mi spaventa.


La sensibilità non può essere generalizzata, ma deve essere personalizzata in base alla nostra sensibilità individuale.


Infatti, non tutti dal punto di vista fisico sopportiamo il dolore allo stesso modo, c’è chi va a lavorare con la febbre a 38 c’è chi invece si sente completamente distrutto, quando il termometro tocca appena i 37 gradi, c’è chi sviene alla vista del sangue c’è chi mantiene un controllo freddo e distaccato davanti alle situazioni più gravi.


Dal punto di vista emotivo accade un pò la stessa cosa, e proprio per questo, chi è più sensibile è più esposto al dolore.


Dolore significa: “sensazione spiacevole per effetto di un male corporeo, ma anche sentimento di profonda infelicità, dovuto all’ insoddisfazione di bisogni personali; afflizione e costernazione.”


Sentimenti che tutti (essendo esseri umani) proviamo più o più o meno intensamente nel corso della nostra vita.


Ma molto spesso, non abbiamo il coraggio di ammetterlo perché siamo troppo impegnati a difendere, ciò che “gli altri devono vedere” e ciò che gli altri riescono a vedere è quasi sempre il contrario di ciò che realmente siamo.


Con accuratezza cerchiamo di coprire le nostre fragilità e la nostra vulnerabilità, dimenticando che la fragilità e la debolezza fanno parte dell’essere umano, e se usate nel giusto modo possono diventare una ricchezza reciproca.


E’ proprio nella nostra debolezza e nella nostra fragilità che si manifesta la potenza di Dio.


Paolo dice: “... perciò, molto volentieri mi glorierò piuttosto delle mie debolezze, onde la potenza di Cristo riposi su di me ... perché quando io sono debole, allora sono forte”. (2 Corinzi 12:9-10)


L’importante è riconoscere sinceramente i nostri limiti, davanti a Dio senza cercare di mettere una maschera, perché le maschere non migliorano il problema, ma lo aggravano.


Mascherare i nostri sentimenti, le nostre fragilità e le nostre paure può farci diventare forse, migliori agli occhi dell’uomo, ma certamente non ci rende migliori davanti a Dio.


E’ chiaro, quindi che la sofferenza che procura dolore può essere non solo fisica, ma anche emotiva e non tutti come ripeto, soffriamo con la stessa intensità, con la stessa partecipazione verso le situazioni o i problemi di cui veniamo a conoscenza.


Spesso, quando ci troviamo a dover affrontare questo tipo di sofferenza, particolare siamo impreparati, e davanti ad una persona che soffre emotivamente, di disagi, conflitti interiori, morali, spirituali o sta attraversando un periodo a volte motivato, a volte immotivato di depressione, che significa semplicemente (vivere uno stato d’animo di avvilimento, di tristezza, di abbattimento e demoralizzazione) tendiamo a semplificare e a minimizzare ogni cosa e con crudele superficialità a volte diciamo...“ pensa a quelle persone, loro si che soffrono davvero, non tu”.


Pensando a torto che la sofferenza reale sia soltanto fisica.


Ovviamente, il dolore rimane dolore ma è sempre e comunque strettamente legato alla sopportazione individuale di ognuno di noi, nonché alla nostra sensibilità.


Certamente, ci sono e ci saranno sempre persone che soffrono più di noi, ma nel momento della “nostra” sofferenza tutti noi soffriamo e anche la nostra sofferenza, come quella degli altri va rispettata.


Non di rado purtroppo, ci sono credenti che sempre per un difetto di interpretazione della vita cristiana pensano che chi soffre di questo tipo di problemi non ha un buon rapporto con Dio, ma Non sempre è così.


Si può essere lontanissimi da Dio senza soffrire minimamente di questi problemi, ed essere invece in uno stretto rapporto con Dio pur soffrendone.


Molto spesso, dimentichiamo che a volte è proprio la sofferenza che ci avvicina di più a Dio.


Nella scrittura ci sono tantissimi esempi di uomini che amavano sinceramente il Signore, ma soffrivano ugualmente di questa sofferenza interiore profonda.


Mi limiterò a portare soltanto pochi esempi.


Cominciando dai salmi, vediamo Davide “un’uomo secondo il cuore di Dio” che descrive la propria sofferenza interiore in modo così intenso, profondo e vissuto che deve far riflettere chi è scettico ed insensibile, pronto a sentenziare, emettendo giudizi il più delle volte errati.


Nel (Salmo 102: 4 e 9) Davide si esprime in questo modo: “colpito è il mio cuore come l’erba è seccato; perché ho dimenticato perfino di mangiare il mio pane ... poiché io mangio cenere come fosse pane, e mescolo con lacrime la mia bevanda...”


Ancora nel (Salmo 6: 3 - 6 – 7) Davide dice: “l’anima mia è tutta tremante...io sono esausto a forza di gemere; allago di pianto il mio letto e bagno delle mie lacrime il mio giaciglio, l’occhio mio si consuma dal dolore e invecchia ...”


Nel salmo 77: 3 - 4 - 5 Asaf si esprime così: “...io mi ricordo di Dio e gemo; medito e il mio spirito è abbattuto, tu tieni desti gli occhi miei, sono turbato e non posso parlare ...ripenso ai giorni antichi agli anni da lungo passati...”


Ed Elia, che nonostante la sua fede, (Giacomo 5:17-18) e nonostante la vittoria sui profeti di Baal (1 Re 18: 40) è preso da un forte scoraggiamento, e la paura prende il sopravvento.


In (1 Re 19: 4) vediamo che Elia “… si inoltrò nel deserto, una giornata di cammino e andò a sedersi sotto una ginestra...ed espresse il desiderio di morire: “dicendo basta! Prendi ora o Eterno, l’anima mia, poiché io non valgo meglio dei miei padri...”

Anche se apparentemente, potrebbe sembrare che Elia non dovesse avere alcuna motivazione per cadere in una forma di depressione così profonda; per lui non era così.


Bastarono le minacce di Izebel (1 Re 19: 2) per farlo cadere in un’ abbattimento e in uno scoraggiamento così profondo, da desiderare la morte.


Un’ altro esempio di sofferenza interiore è Anna, la quale nell'amarezza della sua anima  pregò l’Eterno piangendo dirottamente:"  io sono una donna tribolata nello spirito e non ho bevuto ne vino ne bevanda alcolica ,ma stavo spandendo la mia anima dinanzi all'Eterno...l’eccesso della mia tristezza mi ha fatto parlare fino adesso ... ” (1 Samuele 1:10 -15- 16)


Anna era una donna sterile e viveva la sua sterilità con una sofferenza intensa, profonda (era la sua sofferenza) non tutte le donne vivevano e vivono la loro sterilità allo stesso modo di Anna, c’è chi l’accetta in modo diverso, quasi con serenità.


Ma per Anna non era così.


Neppure le parole affettuose del marito Elkana, che cercava di rassicurarla dicendogli: “Anna, perché piangi, perché non mangi, perché è triste il cuore tuo? non ti valgo io più di dieci figlioli...? (1 Re1: 8) riescono ad attenuare il dolore di Anna.


E’ bellissimo però, vedere le stesse persone che si lamentano, soffrono e vivono le cose in modo cosi intenso, particolare (come capita a chi è più sensibile) amare sinceramente il Signore e innalzare a Dio inni di ringraziamento di lode e di riconoscenza.


Non è un caso, che nella scrittura troviamo questi canti di lode, dopo un travaglio e una sofferenza interiore profonda.


Come ripeto, la sofferenza, sia dal punto di vista fisico, emotivo o spirituale è un qualcosa di soggettivo, di personale ed aumenta in base alla nostra sensibilità.


Più siamo sensibili più saremmo predisposti alla sofferenza perché ogni piccola cosa di cui veniamo a conoscenza, che riguarda noi o gli altri ci farà soffrire, maggiormente.


Essere sensibili significa, sentire in modo particolarmente intenso determinate situazioni emotive, ambientali ecc. e avere allo stesso tempo una predisposizione particolare a sentire vivamente le emozioni, i sentimenti e gli affetti.

“Dal vocabolario” sensibile; è detto anche strumento di misura che avverte fortemente le vibrazioni (in psicologia si chiama anche empatia)


In un certo senso la persona sensibile avverte cose che normalmente gli altri non avvertono e sente cose che gli altri non sentono.


Al contrario, la persona superficiale come dice la parola stessa, sente, vede e vive le cose in superficie, non approfondisce, non analizza, non si pone troppi interrogativi, ma si ferma (il più delle volte per comodità) davanti all'esteriorità delle cose.


E come lo “strumento” citato sopra, essendo in questo caso uno strumento insensibile, non potrà avvertire le forti vibrazioni, e per questo motivo sarà meno esposto alla sofferenza.


Chi è sensibile, Non può essere superficiale, al contrario sarà estremamente introspettivo, tenderà ad approfondire e ad esaminare attentamente ogni cosa, cercando di capire profondamente se stesso e gli altri immedesimandosi, facendo proprio il problema e il dolore degli altri, soffrendo a sua volta, dello stesso dolore.


Immedesimarsi o immedesimazione significa: fare una cosa di due o più cose distinte, farsi una sola cosa o persona con un’altra.


Ma dobbiamo fare attenzione perché esiste una sensibilità e di conseguenza una sofferenza, positiva e una sensibilità e una sofferenza, negativa.


Se per esempio io sono sensibile alla mia natura umana, carnale questo sarà ovviamente negativo e pericoloso per me stessa come credente, e per le persone che mi stanno accanto e certamente non potrò essere di aiuto a nessuno, anzi potrò fare a loro soltanto del male.


Inoltre, dobbiamo fare molta attenzione a non confondere la fragilità con la sensibilità.


Molto spesso fragilità diventa sinonimo di sensibilità, ma non è affatto così.


La differenza è sottile ma sostanziale, infatti; fragile è un qualcosa che si rompe facilmente, un pacco che contiene oggetti fragili può rompersi facilmente, ma non è detto che in questo pacco ci sia un contenuto prezioso, anche una zucca vuota se cade a terra si rompe ... ma è vuota, priva di contenuto.


Fragile è detto anche di persona debole, di scarsa consistenza e di valori morali, facile nel cadere ai vizi e alla tentazione.


Quindi è evidente che si può essere fragili e sensibili, ma si può anche essere fragili ed estremamente insensibili, vuoti ed egoisti allo stesso tempo.


La sensibilità, per quanto riguarda la predisposizione nell'aiutare e nel partecipare alla sofferenza degli altri ha sicuramente un’ aspetto positivo notevole, e se usata nel modo voluto da Dio può diventare una benedizione per noi stessi e per gli altri. 


In 2 Proverbi 21: 1 è scritto: “ il cuore del re, nella mano dell’Eterno è come un corso d’acqua, Egli lo volge dovunque gli piace


Ma questo cuore (come dice questo stupendo versetto) deve essere mobile nelle mani di Dio in ogni circostanza, lasciandosi guidare soltanto dalla Sua mano!


Si, se vogliamo essere utili nelle mani di Dio, dobbiamo lasciarci guidare e dirigere proprio come un corso d’acqua che inonda e penetra ogni cosa, riempendo spazi vuoti e aridi, il Signore deve poter dirigere i nostri pensieri, le nostre emozioni, le nostre fragilità e la nostra sensibilità, come meglio desidera e noi, proprio come l’acqua dobbiamo seguirlo con la stessa fluidità e la stessa continuità.


Perché la nostra sensibilità individuale, come tutto ciò che ci caratterizza ( come individui) per essere qualcosa di benefico, deve essere usata con il solo ed unico scopo di glorificare Dio, soltanto in questo modo potrà essere totalmente e meravigliosamente produttiva, al contrario rimarrà soltanto un bel gesto, ma completamente vuoto...fine a se stesso!


La sensibilità che viene da Dio, non si ferma, non cambia in base alle circostanze e alle situazioni, non ragiona sui pro e sui contro, ma si dirige verso il cuore degli altri donando, anche se questo a volte può costare... perché la sensibilità è molto simile all’ amore...dona senza chiedere nulla.
( 1 Corinzi 13) 


Non dimentichiamo però, che il cuore dell’uomo, senza Dio, per quanto sensibile e altruista possa essere “è sempre ingannevole ed insanabilmente malvagio” (Geremia 17: 9)


Per questo è importante esaminare noi stessi profondamente per capire, la vera motivazione del nostro “altruismo” (se di altruismo si tratta) e vedere se nel nostro dare, c’è il desiderio nascosto di ricevere di più!


Ricordando sempre, che ogni cosa buona che noi possiamo fare, non viene da noi ma da Dio!


Che il Signore ci aiuti ad essere davvero, dei corsi d’acqua che si dirigono verso il cuore degli altri, senza calcoli ed interessi personali, ricordando che questi corsi d’acqua potranno affluire bene soltanto, se noi rimaniamo strettamente uniti alla Sorgente!





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